di Gabriele Polo
su Il Manifesto del 25/05/2008
Saranno necessari trentamesi per risolvere l'emergenza rifiuti di Napoli, parola del sottosegretario ad hoc Bertolaso. Sono bastati pochi minuti per capire come il governo intende risolverla, quelli trascorsi tra la firma dell'apposito decreto da parte di Napolitano e le cariche di Chiaiano. Una dimostrazione di forza: concreta, per intimidire quella popolazione; simbolica, per dire all'Italia intera quale sarà la sorte di chi osa protestare. Il pugno di ferro invocato da più parti e praticato in una piazza sinistramente ribattezzata «Titanic», è la logica prosecuzione di quel primoconsiglio dei ministri che ha varato una vera e propria legislazione speciale. E' la pratica dell'emergenza diventata unica fede di questa declinante Repubblica: si tratti di stranieri da cacciare come di cittadini da comandare, si parli di diritti individuali come di rifiuti collettivi. A molti, ieri mattina, di fronte a un ragazzo precipitato da una balaustra sotto la pressione dei manganelli è ritornato tragicamente in mente ciò che è accaduto a Genova nell'estate di sette anni fa. Lo ha detto esplicitamente il sindaco di Napoli, Rosa Russo Iervolino. Anche allora, nel luglio 2001, il governo Berlusconi era appena entrato in carica e anche allora l'obiettivo era «dimostrare la primazia dello stato»: fu una mattanza di massa, l'assassinio di Carlo Giuliani, la messa in mora del diritto e della Costituzione. Oggi gli eventi sembrano meno drammatici e più circoscritti. Meno «politici». Ma solo in apparenza, solo per gli esiti del momento. Perché oggi è persino peggio di allora, perché la logica emergenziale e la violazione dei diritti sono stabiliti per legge, controfirmati da un presidente della Repubblica. Forse ai più sembreranno «eventi locali» e molti converranno sulla necessità del «fare pulizia»: dei rifiuti, dei rom, degli immigrati. Ma non comprendere il significato generale di ciò che accade a Napoli, non capire il senso emergenziale delle misure che il governo ha preso con la sua prima riunione in quella città, significa contribuire alla fine delle libertà comuni, anticamera del precipizio per quelle individuali. Di fronte al gran parlare che s'è fatto dopo le elezioni sull'importanza del territorio e sulla crucialità politica della sua rappresentanza, stride la violenta indifferenza che lo stato riserva agli abitanti di un borgo napoletano; che semplicemente si preoccupano per il futuro della propria terra e della propria vita. Ma quando il diritto «superiore» che lo stato invoca si trasforma in esercizio della forza, quel diritto perde ogni legittimità e credibilità. Non c'è interesse di maggioranza che tenga: ciò che sta accadendo a Chiaiano - e che potrebbe ripetersi presto in altri luoghi della Campania - chiama in causa la libertà di ciascuno, anche di chi pensa di vivere in un «territorio sicuro». Nessuno escluso.
Prc Jesi, Circolo Karl Marx
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