di Loris Campetti
su Il Manifesto del 13/03/2008
La lotta di classe è finita perché gli interessi degli operai e degli imprenditori convergono. Ma gli operai - spremuti come agrumi, costretti ad accelerare i tempi della prestazione per garantire la competitività ai loro padroni con cui convergono, e costretti a straordinari e turni di notte per integrare un salario indecente - continuano a morire di lavoro. Era scoccata da pochi minuti la mezzanotte quando Antonio Stramandinoli, un manutentore di 37 anni dipendente del Comau e impegnato sugli impianti della Mac di Chivasso, è stato ucciso dalla macchina che stava riparando. Aveva iniziato da due ore il suo turno notturno di lavoro quando è stato chiamato per intervenire su una pressa che si era bloccata. Ma non sempre i pezzi di ricambio sono a disposizione e i magazzini riforniti, per risparmiare soldi con il just in time. La passi vuole che l'impianto non venga bloccato per non perdere tempo e produzione. Antonio stava tentando di riattivare la pressa con un palanchino ma la pressa non ripartiva, così si è affacciato per guardare cosa la bloccasse quando la macchina si è improvvisamente rimessa in moto e l'ha travolto con un colpo d'ariete, scaraventandolo in alto per qualche metro. Quando hanno tentato di soccorrerlo non c'era più niente da fare.
«A Torino crescono gli infortuni nelle grandi fabbriche», dice il segretario della Fiom torinese Giorgio Airaudo: il Comau è un'azienda Fiat con migliaia di dipendenti che costruiscono e garantiscono l'istallazione e la manutezione di impianti produttivi. La Mac è un gruppo di proprietà di imprenditori torinesi che si occupa di stampaggio e taglio di lamiere per automobili e camion, alle cui dipendenze lavorano 10 mila dipendenti. La Mac rifornisce il gruppo Fiat, che in passato aveva al suo interno queste lavorazioni, e per l'industria tedesca, ha stabilimenti in Italia e in giro per il mondo della globalizzazione Fiat, oltre che in Germania dove ha acquisito alcune aziende. Lo stabilimento in cui è stato ucciso Antonio è a Chivasso nell'ex fabbrica della Lancia, trasformata negli anni Ottanta in un polo produttivo e di servizi soprattutto nel settore automobilistico.
Antonio doveva far ripartire subito la pressa, questo era il comando aziendale che punta sulla velocità delle macchine e degli operai costretti a lavorare sempre più in fretta, «e la velocità uccide», dice sconfortato Airaudo a cui ogni volta non resta che promuovere uno sciopero. Ieri alla Mac i lavoratori si sono fermati per otto ore. «Da un po' di tempo - aggiunge - tutti i cosiddetti incidenti in fabbrica nell'area torinese hanno le stesse caratteristiche e sono provocati dalle stesse cause: gli operai sono costretti a lavorare sotto pressione, spesso minacce, in competizione tra di loro. I bassi salari riducono gli spazi di libertà e autonomia, spingono a lavorare di più, a fare ore e ore di straordinari, a fare le notti. Dunque a rischiare la vita. Per questi motivi anche alla Mac avevamo aperto una vertenza. Crescono gli incidenti nella grande industria manifatturiera dove l'uomo vale meno della macchina e viene ridotto a un fattore sacrificabile. Come alla Mac, come alla ThyssenKrupp. Negli ultimi mesi si sono verificati due gravi incidenti anche a Mirafiori, per fortuna senze conseguenze irreparabili. In lastratura un manutentore è rimasto pinzato, alla costruzione stampi un altro è stato travolto da una scocca che si è staccata dalla linea».
Servono leggi adeguate, ma le leggi non sono sufficienti da sole a salvare vite umane sul lavoro. C'è un problema culturale che riguarda tutti, a partire dai padroni e scendendo giù, lungo la filiera del comando e delle responsabilità, ma anch'esso non basta a fermare la strage degli innocenti. Bisogna smantellare l'ideologia che in nome di una falsa modernità riscopre le regole del comando novecentesche, se non ottocentesche, mentre la politica - quella di chi fino a ieri si diceva dalla parte dei lavoratori - scopre le convergenze tra capitale e lavoro, il patto dei produttori, la fine della lotta di classe. E' questa l'amara considerazione di chi si sente impotente, o in grado solo di indire uno sciopero a operaio morto.
Si può morire in fabbrica come Antonio, che per inciso era un militante Fiom, ci si può uccidere in casa stressato dall'intensità del lavoro come alla Renault, oppure dalla precarietà del lavoro, come è successo a Luigi Rocca, 39 anni, sempre nel torinese, operaio interinale e intermittente alla Berco. Si è impiccato quando il padrone gli ha detto che il contratto non sarebbe stato rinnovato. Può interessare il lettore la notizia che la Berco è una delle tante aziende della multinazionale tedesca che risponde al nome di ThyssenKrupp. E può anche interessare il lettore il fatto, denunciato dal sottosegretario Gianpaolo Patta, che la Fiat, proprietaria del Comau in cui lavorava Antonio, si è finora rifiutata di sottoscrivere un accordo quadro sulla sicurezza.
Prc Jesi, Circolo Karl Marx
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